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"Oh che dolce
cosa è questa prospettiva": la risposta di Paolo Uccello
al richiamo della giovane moglie, che nottetempo lo attende nel talamo,
è diventata emblematica dell'artista completamente immerso
nella ricerca prospettica. Paolo Uccello è un artista difficile
da definire. Il registro apparentemente non "realistico"
della sua pittura è stilisticamente più vicino alla
cultura tardo-gotica che alla rinascita giottesca operata da Masaccio
e mette in crisi l'eguaglianza prospettiva / "realismo",
proprio negli anni in cui a Firenze Leon Battista Alberti lavorava
alla redazione del De pictura. La difficoltà a ricondurre
la pittura di Paolo all'idea della prospettiva rinascimentale maturata
dalla critica novecentesca lo ha fatto considerare uno sperimentatore
inesausto, un critico tenace della cosiddetta "costruzione legittima",
un irregolare. L'apparente contraddizione tra stile e prospettiva
è confutata dalla sinopia di San Martino alla Scala, che dimostra
una forte coerenza con la costruzione albertiana dello spazio prospettico,
dove l'articolazione proporzionale della superficie pittorica è
conforme alla ritmicità quasi decorativa delle composizioni
di Paolo Uccello.
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La
tarsia lignea può essere considerata l'arte prospettica per eccellenza,
quella in cui la geometria delle linee governa totalmente il risultato
della composizione. Benedetto Dei etichetta giustamente i maestri intarsiatori
come "maestri di prospettiva" e rivendica il primato fiorentino
nella diffusione di quest'arte che nel Quattrocento raggiungerà
risultati eccellenti anche nell'Italia settentrionale. Le prime tarsie
prospettiche nascono all'ombra della cupola di Santa Maria del Fiore,
nella sacrestia delle messe, dove nel 1436 iniziano a lavorare Antonio
Manetti Ciaccheri, collaboratore di Brunelleschi, e Giovanni Scheggia,
fratello minore di Masaccio. L'opera sarà completata nel 1465
da Giuliano da Maiano, la cui bottega realizza verosimilmente anche
i pannelli del celebre Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino.
Tra i grandi intarsiatori non fiorentini si distinguono soprattutto
i fratelli Canozzi da Lendinara, legati a Piero della Francesca da uno
stretto rapporto di amicizia di cui reca testimonianza Luca Pacioli. |