Si può affermare che il luogo in cui oggi sorge il Palazzo dei
"Giudici" è un pieno di stratificazioni storiche e come
tale è stato elemento di riferimento nelle trasformazioni della
città antica; il Palazzo Castellani è stato infatti costruito
sull'antico Castello d'Altafronte.
La sua pianta si trova, infatti, inserita in un punto strategico del tracciato
delle mura di Matilde la cerchia antica di Dante del 1078, ed è
ancora elemento di deviazione nella cerchia comunale d'oltrarno degli
anni 1173 - 1175 e successivi.
A tale proposito Messere Giovanni Villani, descrivendo il percorso della
nuova cerchia dal ponte alla Carraia, dice:
Per lo nome di quella porta e poi seguendo le mura non troppo
alte, fu per la riva d'Arno, mettendo dentro ciò che era fuori
delle mura vecchie
.in fino al Ponte Vecchio, et poi seguiro su per
la riva d'Arno infino al Castello d'Altafronte, di là si partirono
alquanto le mura dalla riva
Cita, dunque, il castello come punto fondamentale del percorso, e si deduce
quindi che il monumento già esisteva ed era di importanza non secondaria.
Si trova poi citato a proposito delle torri fiorentine del secolo XI,
torri di famiglie private, che erano al tempo stesso abitazioni sicure
nei momenti di pericolo e fortezze durante le guerre cittadine. Si fa,
a tale proposito, il numero di 35 riconosciute come esistenti nel 1180,
sparse un po' ovunque, ma più fitte nei dintorni del mercato vecchio
cioè nella zona dell'attuale Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria
come
pure in Borgo SS. Apostoli e in via Por Santa Maria, lì vicina
si ergeva sul fiume la più salda fortificazione della città,
il Castello d'Altafronte, l'area del quale occupano da secoli in parte
gli Uffizi, il Palazzo dei Giudici e l'omonima piazza.
E ancora lo si ritrova nel passaggio di proprietà, anch'esso del
1180,
quando ancora castello e facente parte delle mura
di Firenze, passò dalla famiglia degli Altafronte che vi abitava
a quella degli Uberti, a Schiatta degli Uberti che se ne servì
di fortezza.
Da questa data il castello seguì le sorti della ricca e potente
famiglia degli Uberti che, in genere sempre fedele al partito imperiale,,
è stata fra le protagoniste di un importante periodo della vita
di Firenze.
Il Castello era vicino all'antico nucleo delle case della famiglia degli
Uberti, in prossimità di S. Pietro Scheraggio, case che rimasero
illese nonostante i disordini del 1177 e quelli del 1178 quando furono
fatti i primi passi per l'elezione dei Consoli, elezioni che sfociarono
in episodi di guerra civile tra vicini di casa che si combattevano in
mille modi, non ultimo, portando mangani sulle torri per devastare gli
edifici circostanti ed appiccando il fuoco alla città; per ben
due volte, infatti, gli incendi mutilarono gran parte di Firenze, non
però le zone dove sorgevano le proprietà degli Uberti che
rimasero, a detta degli storici, intatte.
Nonostante ciò, Schiatta non riuscì a spezzare la consorteria
delle famiglie che signoreggiavano in Firenze con politica anti-imperiale
e si vide costretto a far pace con il capo dei nemici , come garanzia,
dovette stipulare un contratto con Giandonati in forza del quale cedeva
a quest'ultimo la proprietà di un quarto del castello d'Altafronte
contro pagamento di trecento libbre.
A proposito della potenza della casa degli Uberti, Robert Davidshon, nella
storia di Firenze, a 70 anni dall'evento suddetto riparla del luogo e
dei protagonisti, questa volta a proposito delle elezioni per il rettorato
alla chiesa di S. Firenze nella cui circoscrizione si trovavano molte
case e torri della potente famiglia ghibellin, che contrapponeva alla
nomina dell'Abate di Montescalari la propria, e tra i procuratori due
membri della propria casa fra cui quel Farinata celebrato da Dante.
Un grave colpo le fu inferto da questa azione nel momento in cui, prima
pacificamente e poi con abili giochi non abbastanza organizzati, non riuscì
a far eleggere il Cardinale Ottaviano, un uomo fidato al governo della
città. Il Cardinale registrò dunque una sconfitta, ma i
seguaci subirono irruzioni nelle loro case ed assassini, tanto che le
famiglie ghibelline in gran parte abbandonarono la città.
I fuggiaschi vennero dichiarati traditori, fu loro inflitto l'esilio perpetuo,
furono demolite le loro case e con le pietre ricavate si costruirono le
mura oltre l'Arno. I mucchi di calcinacci ed altri rottami erano tali
e tanti che non si sapeva come toglierli di mezzo: la strada che dal Castello
d'Altafronte portava lungo l'Arno ne venne riempita fino all'altezza del
muro che la separava dal fiume e per molto tempo rimase intransitabile;
questo secondo il Davidshon, nell'anno 1267.
Per meglio chiarire quale fosse l'odio dei fiorentini contro gli Ubertiti
ci hanno trasmesso che, quando nel 1299 venne decisa la costruzione di
un edificio sicuro dove i magistrati potessero radunarsi a consiglio,
si pensò al luogo dove un tempo sorgeva il Guardingo eretto dai
longobardi, ma, per avversione profonda contro i Ghibellini e per superstizione
si evitò, tracciando il perimetro, quel tratto su cui erano posti
i turriti palazzi degli Uberti.
Per questo il Palazzo Vecchio venne ad assumere quella forma irregolare
che oggi ammiriamo.
La notizia relativa alla demolizione delle case degli Uberti ad opera
di nemici politici sembra contraddire quella secondo cui il Castello fu
quasi totalmente distrutto in una piena del 1333; a meno che la costruzione
non fosse stata toccata dalla collera fiorentina in rispetto ai Giandonati.
Dopo le vicende legate al nome degli Uberti il palazzo esce dalla storia
degli avvenimenti caratterizzanti la vita della città, raramente
lo si trova citato, quindi diventa più difficile descriverne la
vita e comunque lo si fa con documenti di altro tipo.
Il Fantozzi afferma che il palazzo, ricostruito dopo l'alluvione del 1333
in altra forma per uso di privata abitazione, pervenne nelle proprietà
di una ricca e potente famiglia e traendo da essa il cognome, si chiamò
dei Castellani.
Riguardo alla ricostruzione dopo l'alluvione del 1333 il Bucci ne "I
palazzi di Firenze", nella sezione relativa al quartiere di Santa
Croce a tale proposito afferma
..già sulla fine del '300
e in qualche caso, già prima della metà, i palazzi avevano
preso un tipo di facciata a stesura larga, con chiare cornici marcapiano
e grandi finestre centinate ai piani superiori. Basti citare, sulla metà
del secolo, il Palazzo Castellani, dietro il loggiato degli Uffizi, col
suo poderoso cubo e pianterreno ad archi di bugnato e con grandi finestre
centinate ai piani superiori, è già concepito come blocco
isolato, quasi che la vicinanza a Palazzo Vecchio si facesse sentire su
esempi minori.
Rappresenta il ricordo del robusto castello d'Altafronte che stava al
suo posto e che rovinò con la piena del 1333, e al tempo stesso
anticipa il volume del tipico palazzo rinascimentale quale sarà
Pitti, Medici e Strozzi.
Nella pittura ottocentesca di Anonimo conservata al Museo "Firenze
com'era", che riproduce in grande formato la pianta detta 'della
catena' databile al 1490, il palazzo compare nella tipologia tipica del
palazzo torre degli inizi del XIV secolo.
Un altro importante documento relativo alla forma architettonica è
il dipinto nella sala di Clemente VII a Palazzo Vecchio relativo all'assedio
di Firenze di Giorgio Vasari. Quest'ultimo raffigura il palazzo con forme
simili a quelle della pianta suddetta, e questo consente di affermare
che per circa duecento anni rimase un massiccio torrione con quattro torricelle
sui quattro angoli del ballatoio.
Da questa struttura discosta quella contenuta nella pianta prospettica
di Firenze che Stefano Buonsignori, cosmografo del Granduca Francesco
I, disegnò nel 1594 e che porta l'immagine di un palazzo rinascimentale,
coperto a quattro falde, e comunque senza torricelle sugli angoli.
Dal 1572, secondo lo 'stradario storico e amministrativo della città
e del comune di Firenze', l'edificio passò quale ufficio dei Giudici
di Ruota, che si trasferirono qui dal palazzo del Podestà.
Nel periodo in cui ospitò i Giudici subì alcune trasformazioni
che possono essere agevolmente lette nella 'veduta di Firenze' dedicata
al Cardinale Leopoldo, figlio di Cosimo II realizzata nel 1650 da Valerio
Spada in cui allo squadrato parallelepipedo compare addossato, al piano
terra delle due facciate visibili, una specie di porticato concluso da
un tetto ad una falda il cui culmine lambisce il bancale delle finestre
del primo piano.
R. Davidshon parla anche di un dipinto a grottesche eseguito nel 1573
sulla facciata da Bernardino Barbatelli detto il Poccetti parzialmente
visibile anche nella veduta dello Spada, oggi totalmente scomparso.
Delle decorazioni e dei lavori fatti eseguire dal duca Cosimo si fa riferimento
anche in una relazione redatta nel 1929 dalla commissione chiamata ad
esaminare le condizioni statiche del palazzo:
..nel 1558 il duca
Cosimo compra il palazzo, lo restaura, lo fa decorare con graffiti da
Bernardino Poccetti, e ne fa la residenza del Podestà e di tutti
i procuratori.
L'opera suddetta dello Spada permette di smentire, almeno in parte, la
comunicazione tenuta da Alfredo Lensi alla Società Colombaria il
24 magio 1929, in cui parlando dei palazzi medioevali fiorentini afferma:
dobbiamo pure tralasciare il Palazzo Castellani in piazza dei Giudici
che ha senza merito la fama di essere un tipico edificio medioevale, un
avanzo dell'antichissimo castello d'Altafronte, rimasto fino alla metà
del secolo passato un alto e massiccio torrione tutto muro, coronato di
merli guelfi, con quattro torricelle sui quattro canti del ballatoio,
un avanzo guerresco a cui Francesco Leoni, nel 1839, in pieno romanticismo,
diede la apparenza e non la solidità
..
Una pianta del piano terreno, in braccia fiorentine, firmata Bernardo
Fallani e datata 1770, rappresenta il più antico documento chiaramente
riferito al palazzo; in essa, unitamente ad elementi comuni ad altri edifici
fiorentini del XIV secolo, si osserva la distribuzione dei muri non sempre
rispondenti ai canoni classici, la distribuzione degli spazi fra questi
muri eterogenei non completamente descrivibile. Questo può indurre
a pensare che l'odierna costruzione, in verità abbastanza vicina
a questa antica pianta, sia stata elaborata su elementi preesistenti provenienti
dal palazzo distrutto dalla piena del 1333.
Dopo la veduta dello Spada l'ultimo a riproporre l'esterno del palazzo
è il dipinto ottocentesco di Torello Moricci: "Gli edifici
prospicienti l'Arno a valle del ponte alle Grazie" che lo riproduce
nelle forme attuali.
Quali siano state le sorti del palazzo nel corso dei secoli XVII e XVIII
non è possibile dire con certezza: il fatto che sia nella pianta
del Fallani (1770) che nelle vedute dello Spada (1650) compaia sotto la
denominazione di Palazzo dei Giudici di Ruota ci autorizza a credere che
almeno fino alla fine del '700 fosse adibito a tale uso.
Inoltre la presenza sia all'interno, dove oggi ancora si trovano murate
entrando nel museo, di armi di due antichi magistrati, che all'esterno,
dove compaiono, anche se molto consunti, gli emblemi dell'arte dei Giudici
scolpite in pietra, di elementi chiaramente ascrivibili ad una funzione
precisa, può far presupporre che la destinazione suddetta sia stata
conservata fino a quando subentrarono le residenze del commissario di
guerra e gli uffici a questi connessi, cosa che avvenne prima del 1824.
Il Fantozzi e M. L. Righini Monelli, fra gli altri, affermano che il palazzo
subì, nel secolo scorso, sensibili cambiamenti: confrontando la
pianta del 1770 con una pianta non datata né firmata ma collocabile
nell'ottocento per via delle scritte che si riferiscono al comando militare,
è possibile rilevare come la struttura interna risulti seriamente
intaccata perfino in punti particolarmente delicati per il suo equilibrio
statico, con conseguenti lesioni.
I testi consultati attribuiscono a Francesco Leoni, architetto presso
le Fabbriche Granducali, dagli anni '30 fino al '49, sotto la direzione
del Conte Luigi Cambray Digny, un vistoso restauro sia all'interno che
all'esterno.
Nei fatti poi, Guglielmo Saltini, storiografo del Leoni, nel riportare
i lavori da lui diretti in quegli anni, non fa menzione dei lavori eseguiti
nel Palazzo dei Guidici.
E nemmeno G. Fanelli, che pure gli dedica una sia pur succinta scheda
biografica, fa cenno ai lavori che ci interessano.
La consultazione effettuata presso l'Archivio di Stato di Firenze delle
filze relative ai lavori eseguiti in stabili dipendenti dallao scrittoio
granducale sotto la direzione di Francesco Leoni, hanno portato alla luce
descrizioni di poco conto, almeno in generale relative a sostituzioni
per cause di deperimento.
Francesco Leoni abbandonò nel 1848 l'ufficio che aveva ottenuto
dopo aver prestato la sua opera in campi diversi; quanto detto non chiarisce
molto i più vistosi interventi quali la nuova scala, di cui parla
Fantozzi nella sua guida, e lo svuotamento dei due elementi che compaiono
in grosse dimensioni nella pianta del 1770 e molto più minuti in
quella ottocentesca.
Per la verità, anche se non è stata trovata la perizia relativa,
in una lettera del 1839 si parla di lavori eseguiti per consolidare un
punto di fabbrica che aveva accusato crepe, e che potrebbe essere accanto
a quello precedentemente svuotato.
Dopo il periodo del 'General Comando', il palazzo nel 1885 fu destinato
ad accogliere i manoscritti della Biblioteca Nazionale e l'ultimo piano
fu destinato ad appartamento di abitazione del bibliotecario; nel 1905,
dopo la morte del bibliotecario, il direttore della Galleria degli Uffizi
richiese al Ministero della Pubblica Istruzione che il vastissimo alloggio
del terzo piano fosse congiunto alla galleria, specificando che l'intera
sistemazione della medesima dipendeva unicamente dal poter trasferire
in quei locali il gabinetto stampe, disegni, archivio fotografico e libreria.
Esiste pure un documento, datato 17 giugno 1905, nel quale si afferma
l'avvenuta elaborazione del progetto per effettuare il collegamento tra
l'ultimo piano nel Palazzo dei Giudici e la Galleria.
Dopo di ciò l'ultimo grande evento nella vita del Palazzo si è
avuto nel 1929 quando in seguito ad una mostra relativa agli oggetti scientifici
organizzata a Firenze, essendo aumentato considerevolmente il numero dei
cimeli da esporre, risultò insufficiente la stanza di via degli
Alfani che prima li aveva ospitati, almeno in parte.
Si pensò allora di dar vita ad un Istituto e Museo di Storia della
Scienza che fu allestito nei locali nel frattempo liberati dopo che la
Biblioteca Nazionale si era trasferita nella nuova sede.
Fu, probabilmente, in occasione di questo evento che dal 1935 al1940 furono
fatti dei lavori di manutenzione, consolidamento ed adattamento di cui
si è trovato traccia presso l'Archivio di Stato di Firenze in una
filza del Genio Civile e che ci mostrano la struttura dell'edificio quasi
nella stessa forma attuale.
In seguito si ebbero dei mutamenti nella destinazione al terzo piano della
Deputazione di Storia Patria, e al secondo piano della Sovrintendenza
ai Monumenti.
Da allora poco è cambiato o comunque i cambiamenti sono stati tali
da non intaccare la fisionomia dell'edificio che continua ad ospitare
Museo ed Istituto di Storia della Scienza.
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