Terminata la mostra dedicata a Roma Barocca. Bernini, Borromini, Pietro da Cortona, allestita a cura di Marcello Fagiolo e Paolo Portoghesi nei locali di Castel Sant’Angelo a Roma (15 giugno-29 ottobre 2006), il modello della meridiana di Borromini è ora conservato all’Istituto e Museo di Storia della Scienza per gentile concessione del Centro di Studi sulla Cultura e l’immagine di Roma.
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MERIDIANA TETRACICLA |
Modello in legno, cm 240x98x98 |
Progetto: |
Filippo Camerota |
Realizzazione: |
Luise Schnabel, Filippo Camerota |
Costruito in occasione della mostra Roma Barocca. Bernini, Borromini, Pietro da Cortona (Roma, Castel Sant’Angelo, 15 giugno – 29 ottobre 2006), su commissione del Centro di Studi sulla Cultura e l’immagine di Roma. |
Proprietà: |
Centro di Studi sulla Cultura e l’immagine di Roma. |
Monumento al sole barberiniano e strumento per la misura del tempo, la meridiana “tetracicla”, come la chiamò Athanasius Kircher, è uno dei primi lavori romani del giovane Francesco Borromini. Eseguito nel 1628 insieme a Agostino Radi come ‘ornamento matematico’ per il giardino del Quirinale, il singolare orologio solare fu disegnato dal matematico Teodosio Rossi, un discepolo di Cristoforo Clavio e corrispondente di Tycho Brahe che fin dalla fine del secolo precedente si era distinto presso la corte pontificia come uno dei maggiori esperti di gnomonica. Le sue tavole gnomoniche redatte e pubblicate nel 1593 per la costruzione di meridiane alla latitudine di Roma, esplicitamente citate nell’Ars magna di Kircher (1646), rappresentano il dato tecnico di riferimento anche per il disegno dell’orologio “a sole” del Quirinale che lo stesso Rossi descrisse puntualmente nel successivo Horarium universale perpetuum (1637). Quest’opera e la Misura e stima sottoscritta dai misuratori della bottega di Carlo Maderno, oggi conservata all’Archivio di Stato di Roma (Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 62, fasc. 7, ins. 1), sono i documenti che, insieme a quanto resta dell’orologio solare, hanno permesso la puntuale ricostruzione dell’originaria composizione. Già collocato su un frammento di colonna proveniente da San Pietro, alla cui base Borromini aveva adattato cinque capitelli “vechi” di travertino, l’orologio fu ricomposto nel XIX secolo sull’attuale piedistallo di provenienza Cybo. Data la mancanza di altre testimonianze documentarie, è possibile che l’orologio sia stato rimosso già dopo la morte di Urbano VIII, con conseguente dispersione delle parti asportabili. Attualmente gli unici elementi superstiti sono il blocco quadriconcavo di marmo “ammacchiato” e il “piede” di marmo “saligno” che gli fa da sostegno. Alla base del “piede” è ancora leggibile il verso virgiliano menzionato da Kircher che ricorda le api come “custodi delle porte e osservatrici del cielo” (Georgiche,vv. 164-165), operose artefici di una società gerarchica che ogni giorno, come il sole, “al mattino si riversano dalle porte” (vv. 185-186) e compiono senza sosta il loro ciclo vitale.
Tre grandi api e un sole raggiante sono gli emblemi barberiniani oggi perduti che davano forma ai quattro gnomoni di bronzo dorato, indicando le ore per l’intero arco del giorno, come spiega l’iscrizione intagliata lungo il bordo inferiore dei quattro quadranti: “RECVRRENTIVM TEMPORVM LEX, A LVCE PRIMA IN VESPERAM, SIC TOTA DECVRRIT DIES, CVRRENS PER ANNI CIRCVLUVM”. All’estremità opposta, lungo il bordo superiore, una seconda iscrizione offre un’immagine emblematica del pontefice guidato in terra dalla luce divina: “VRBANI VIII BARBERINI, PONT. MAX. AN. SEXTO SALUTIS MDCXXVIII, SUPERNI LVMINI DVCTV”. E a coronamento dell’orologio si trovava il triregno con le chiavi, un saggio di scultura ornamentale borrominiana di cui resta solo la scarna descrizione del mandato di pagamento.
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