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Bronzo e piombo; 184390: 12,7 x Ø2,5 cm; 184382: 26,5 x. 21,7 x Ø6,5 (max) cm; tubi laterali Ø4 cm; 69824: 24 x 30,4 x Ø11,3 (max) cm; 69821: 34,5 x 5,5 (max) cm
Questi oggetti, veri e propri rubinetti per regolare il flusso dell'acqua, sono composti da tre parti: il corpo, fornito di due tronchi laterali che si innestavano ai tubi; il tappo, che lo chiudeva ermeticamente alla base; il cilindro con foro passante inserito superiormente, che ruotando consentiva o bloccava il flusso dell'acqua, azionato mediante una chiave, solitamente quadrangolare o a grosso anello come nell'esemplare 184382.
All'ex. 69821 resta ancora inserito un tratto del tubo di piombo ad esso saldato.
La produzione di questo tipo di meccanismi da parte dei collegia fabrorum doveva rispondere a moduli precisamente fissati, che conosciamo attraverso l'opera di Frontino (I sec. d.C.), De aquae ductu urbis Romae.
I numerosi reperti connessi alla tecnica degli impianti idraulici restituiti dagli scavi di Pompei, la presenza di fontane pubbliche, di ninfei e fontane all'interno delle case, ed i diversi impianti termali della città, sono testimonianza dell'alto livello tecnico raggiunto in questo settore. Il grande serbatoio di distribuzione - castellum aquae - con la sua triplice partizione interna, provvedeva al rifornimento dell'acqua nelle varie zone della città. |